Pezzo diffamatorio pubblicato dal giornale: il diritto di cronaca salva giornalista e direttore

Fondamentale però che l’autore dello scritto non solo non si sia discostato dagli esiti investigativi e dai conseguenti atti giudiziari divulgati, ma non abbia neanche travalicato, nelle modalità di rappresentazione, i limiti propri della continenza, avendo descritto, correttamente, le chiare emergenze processuali, nell’interesse generale alla conoscenza del fatto

Pezzo diffamatorio pubblicato dal giornale: il diritto di cronaca salva giornalista e direttore

Pubblicata notizia diffamatoria: il diritto di cronaca salva comunque giornalista e direttore. Questo il pronunciamento dei giudici (sentenza numero 19102 del 22 maggio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso originato da un pezzo pubblicato da ‘Il Fatto Quotidiano’ e relativo alla presunta vicinanza di un docente universitario ad ambienti mafiosi.
Secondo i magistrati, ci si trova di fronte ad una concreta lesione della reputazione del docente, lesione giustificata però dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, svolto nel rispetto della verità dei contenuti e della continenza della forma e a tutela di un interesse pubblico alla conoscenza della notizia divulgata.
Tirando le somme, il diritto di cronaca giornalistica può rendere non punibile la pubblicazione di una notizia che è palesemente diffamatoria.
Giornalista e direttore de ‘Il Fatto Quotidiano’ sono finiti sotto processo per l’attribuzione di rapporti con un nipote di un boss della ‘ndrangheta ad un docente universitario, attribuzione poggiata, è bene dirlo, sugli esiti di alcune indagini.
Casus belli è lo stigma di mafiosità attribuito al docente universitario. Delicata la questione posta sul tavolo dei giudici: valutare, in generale, la verifica del corretto esercizio del diritto di cronaca, e, in dettaglio, il controllo del rispetto dei necessari requisiti della verità oggettiva della notizia – nella peculiare configurazione che questo limite trova nell’ambito della cronaca giudiziaria –, della continenza delle forme e dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia (che ne giustifica la diffusione).
Ragionando in questa ottica, i fatti integrano effettivamente una lesione della reputazione del docente universitario e, quindi, hanno un’oggettiva valenza diffamatoria, ma, spiegano i magistrati di Cassazione, sono giustificati dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, svolto nel rispetto della verità dei contenuti e della continenza della forma e a tutela di un interesse pubblico alla conoscenza della notizia divulgata.
In sostanza, che la pubblicazione della notizia abbia avuto una valenza oggettivamente diffamatoria non può revocarsi in dubbio, essendo stato evocata una certa cointeressenza del docente con ambienti mafiosi, ma una condotta oggettivamente diffamatoria può essere giustificata se, essa stessa, espressione di altro parallelo diritto, di pari rango costituzionale, quale, nello specifico, il diritto di cronaca giornalistica, espressione della libertà di pensiero e di stampa, diritto pubblico soggettivo che si sostanzia nel potere-dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata, chiariscono i giudici. Tuttavia, l’esercizio del diritto di cronaca può giustificare un’oggettiva lesione della personale reputazione di un individuo ma solo se la rappresentazione offerta risponda ad un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati (tale da legittimare la compressione dei simmetrici diritti della persona incisi dalla divulgazione dei fatti) ed offra una descrizione della realtà coerente con la verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) e rappresentata in forma civile (tanto nell’esposizione dei fatti, quanto nella loro valutazione). In altri termini, essendo il giornalista un semplice intermediario tra il fatto e l’opinione pubblica, la divulgazione della notizia lesiva deve essere giustificata da un oggettivo interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti e resa con l’adozione di modalità espressive adeguate allo scopo informativo. Di conseguenza, entro questi limiti, il bilanciamento tra l’interesse individuale alla tutela di diritti della personalità, quali l’onore, la reputazione e la riservatezza, e quello, costituzionalmente protetto, alla libera manifestazione del pensiero deve risolversi in favore di quest’ultimo, avuto riguardo al prevalente diritto dell’opinione pubblica ad essere informata ed a formarsi un convincimento in ordine a vicende di rilevante interesse collettivo.
Restringendo l’orizzonte e analizzando la specifica vicenda sottoposta ai magistrati, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, il criterio della verità si risolve nella necessaria coerenza della notizia divulgata rispetto al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non solo sotto il profilo della mera correttezza formale dell’esposizione, ma anche sotto quello, sostanziale, della complessiva rappresentazione dell’intero contesto investigativo, che deve essere condotta, costantemente, nel rispetto della necessaria presunzione di non colpevolezza. Tanto più, poi, nella delicata fase delle indagini preliminari, dove – proprio in ragione della fluidità e dell’ontologica incertezza del contenuto delle investigazioni – è doveroso un racconto asettico, senza enfasi od indebite anticipazioni di colpevolezza, non essendo consentito al giornalista aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni, in spregio del dettato costituzionale di innocenza dell’imputato (ed a fortiori dell’indagato) sino alla sentenza definitiva. Perciò, se il cronista non è certamente tenuto a verificare la fondatezza dell’accusa (dovendo, piuttosto, controllarne rigorosamente i termini di formulazione), parimenti non può indulgere ad alcuna preconcetta opzione di responsabilità, rendendo una ricostruzione in chiave colpevolista. Cosicché, se, di certo, non gli si può impedire di avere, al riguardo, un’opinione da manifestare, non gli è però consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente allo stato: null’altro che un mero progetto di accusa attorno ad ipotesi d’illecito e di penale responsabilità, tutte però da verificare, sanciscono i magistrati.
Ragionando in questa ottica e analizzando il pezzo pubblicato sulle colonne e sul sito de ‘Il Fatto Quotidiano’, emerge che l’autore non solo non si è discostato dagli esiti investigativi e dai conseguenti atti giudiziari divulgati, ma non ha neanche travalicato, nelle modalità di rappresentazione, i limiti propri della continenza, avendo descritto, correttamente, le chiare emergenze processuali, nell’interesse generale alla conoscenza del fatto. Un interesse che non può essere escluso solo dalla sua oggettiva estraneità rispetto ai fatti oggetto dell’indagine penale, circostanza, questa che, alla luce delle funzioni di interesse generale svolte dall’uomo citato, professore in uno dei più prestigiosi atenei italiani, e alla luce dei significativi interessi economici da lui gestiti, in alcun modo incide sull’attitudine dei fatti narrati a contribuire alla formazione della pubblica opinione, offrendo al cittadino dati astrattamente utili affinché egli stesso possa liberamente orientare le proprie scelte. Per essere precisi, lo scritto si limita, dopo aver ripetutamente chiarita l’estraneità del docente rispetto alle indagini, a dare atto, fedelmente, degli esiti delle indagini, rappresentando i fatti in esse accertati (il ruolo svolto dal nipote di un boss della ‘ndrangheta, il precedente giudiziario del docente, il notevole incremento reddituale del docente nel periodo di collaborazione col nipote del boss e la sua significativa disponibilità economica) e, con essi, anche quell’unitaria lettura consequenziale che, nella prospettiva accusatoria, ha fondato il contenuto diffamatorio dello scritto. E tale circostanza è non solo desumibile dalla sistemazione in rapporto di stretta consequenzialità dei fatti accertati {contestata al giornalista, ma operata dagli stessi investigatori), ma chiaramente manifestata nell’esplicita richiesta di consultazione della banca dati della ‘Direzione distrettuale antimafia’ avanzata dagli investigatori all’esplicito fine di accertare eventuali legami tra il docente e la criminalità organizzata.

news più recenti

Mostra di più...