Non valida la clausola contrattuale che obbliga per il futuro il giovane atleta a versare parte dei propri redditi in caso di professionismo

Rilevante anche la circostanza che l’atleta fosse minorenne al momento della conclusione del contratto, stipulato perciò dai genitori

Non valida la clausola contrattuale che obbliga per il futuro il giovane atleta a versare parte dei propri redditi in caso di professionismo

Può essere catalogata come abusiva quella clausola contrattuale che obbliga un giovane atleta a versare una parte dei suoi redditi se diventa un atleta professionista. Necessario in questa ottica, però, valutare il carattere della specifica clausola, tenendo conto, in particolare, della sua chiarezza e della sua comprensibilità quanto alle conseguenze economiche dell’impegno assunto dal giovane atleta. Questi i punti fermi fissati dai giudici (sentenza del 20 marzo 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo ad un contratto sottoscritto nel 2009 da un giovane atleta minorenne, rappresentato dai suoi genitori, con un’impresa lettone che offre agli atleti un insieme di servizi per lo sviluppo delle loro capacità professionali e della loro carriera. L’obiettivo di tale contratto era di garantire al giovane atleta una carriera sportiva professionistica di successo nel settore della pallacanestro. Detto contratto, concluso per un periodo di quindici anni, prevedeva un’intera gamma di servizi come, in particolare, allenamenti sotto la supervisione di specialisti e servizi di medicina dello sport, di accompagnamento psicologico e di supporto in materia di marketing, di assistenza giuridica e di contabilità. Come corrispettivo il giovane atleta s’impegnava, qualora fosse divenuto un professionista, a versare a tale impresa una remunerazione pari al 10 per cento di tutti i redditi netti provenienti dagli eventi di gioco, pubblicitari, di marketing e mediatici connessi all’attività sportiva praticata e percepiti durante la vigenza di tale contratto, a condizione che tali redditi ammontassero almeno a 1.500 euro mensili. Considerato che i redditi generati dal giovane atleta, divenuto nel frattempo un giocatore professionista di pallacanestro, derivanti dai contratti conclusi con le società sportive, hanno raggiunto, in totale, un ammontare di più di 16milioni di euro, egli sarebbe tenuto a versare all’impresa lettone il 10 per cento di tale importo, ossia oltre 1,6 milioni di euro. Legittima la clausola che impegna l’atleta a versare alla società il 10 per cento dei propri redditi netti? A rispondere hanno provveduto i giudici comunitari, facendo riferimento alla direttiva sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. In generale, tuttavia, tale direttiva prevede che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale che non sia stata oggetto di negoziato individuale non può vertere sulle clausole relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto, né su quelle riguardanti la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Ebbene, una clausola come quella presa in esame rientra in tale eccezione, precisano i giudici comunitari, sicché un magistrato nazionale può procedere alla valutazione del suo carattere abusivo solo se ritiene che essa non sia formulata in modo chiaro e comprensibile. Nondimeno, il diritto nazionale può prevedere un livello di protezione più elevato per i consumatori. In tal caso, il giudice nazionale potrà verificare il carattere abusivo della clausola, anche se essa è stata redatta preventivamente dal professionista in modo chiaro e comprensibile. Per quanto concerne la questione se la clausola presa in esame sia stata redatta in modo chiaro e comprensibile, i giudici comunitari ricordano che la direttiva prevede anche un obbligo di trasparenza. In tale contesto, cioè, il consumatore deve ricevere tutte le informazioni necessarie per consentirgli di valutare le conseguenze economiche del suo impegno. In caso contrario, non si potrà ritenere che tale clausola sia stata redatta in modo chiaro e comprensibile. Ragionando in questa ottica, la clausola presa in esame, che prevede che il giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10 per cento dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi, non determina automaticamente un significativo squilibrio tra le parti. Infatti, la sussistenza di uno squilibrio del genere dev’essere valutata alla luce, in particolare, delle norme applicabili nel diritto nazionale in mancanza di accordo tra le parti, delle pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nello specifico settore sportivo, nonché di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto e di tutte le altre clausole di quest’ultimo o di un altro contratto da cui esso dipende. Peraltro, la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione del contratto e che quest’ultimo sia stato stipulato dai genitori del minore a suo nome è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola.

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